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L’emersione precoce della crisi d’impresa nell’ordinamento italiano

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6.2.1 L’emersione precoce della crisi d’impresa nell’ordinamento italiano

La disciplina fallimentare italiana del 1942 si basava sul concetto di insolvenza, cioè l’incapacità dell’imprenditore di onorare con regolarità i debiti con i propri creditori. Secondo questo impianto, le imprese insolventi escono dal mercato mediante una procedura fallimentare, che porta alla soddisfazione degli interessi dei creditori attraverso la liquidazione degli attivi aziendali. Solo in casi eccezionali è previsto l’utilizzo di procedure (il concordato preventivo e l’amministrazione controllata) che mirano a ristabilire l’equilibrio aziendale. Nel tempo il sistema italiano ha però mostrato chiari limiti. In media chi ha crediti incagliati in imprese fallite deve attendere tempi lunghi (in media, 7 anni) per recuperare quote molte ridotte dei propri crediti (solo il 13% al lordo dei costi). Gli imprenditori hanno forti incentivi a ritardare l’emersione della crisi e frequentemente arrivano al momento della liquidazione degli attivi aziendali società già decotte. Il ricorso a soluzioni alternative al fallimento, che consentono di salvaguardare la continuità aziendale come il concordato preventivo, è stato per anni un’eccezione. La necessità di dotare il sistema italiano di meccanismi simili al Chapter 11 statunitense, in grado di supportare le imprese a ristrutturarsi e superare la crisi, ha spinto il legislatore a una serie di modifiche al diritto fallimentare, introdotte a partire dal 2005. Gli interventi con i quali il legislatore ha rafforzato il concordato preventivo e introdotto altre procedure di ristrutturazione (accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati di risanamento) non hanno tuttavia conseguito pienamente gli esiti attesi.

Con la recessione del 2009, l’incapacità del nostro sistema di liquidare rapidamente le aziende in crisi, di proteggerne gli attivi e assicurare percentuali di recupero soddisfacenti ai creditori ha acuito il problema dei crediti deteriorati, rendendo ancora più evidente la necessità di un intervento sulla disciplina della crisi di impresa. D’altra parte, il principio di anticipare agli stati iniziali la gestione delle crisi aziendali, quando gli attivi sono ancora consistenti ed esistono efficaci leve d’intervento, si è andato affermando nel corso degli anni nell’Unione Europea. La Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 dispone di introdurre ‘sistemi di allerta’ in grado di far emergere e gestire tempestivamente la crisi di impresa.

In Italia questo principio è stato recepito dal nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, che ha introdotto le procedure di allerta e composizione della crisi.

La procedura di allerta è improntata essenzialmente sull’incentivazione dell’emersione anticipata della crisi e sulla responsabilizzazione dell’imprenditore nella ricerca di soluzioni che hanno come obiettivo principale la continuità aziendale. Sono strumenti di allerta gli oneri di segnalazione posti a carico di alcuni soggetti qualificati e finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal Codice Civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa e alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione, con modalità riservate e confidenziali dinanzi all’OCRI (Organismo di composizione della crisi di impresa).

Estratto dal "Rapporto Cerved PMI 2019"

 

 


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