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Report settimanale BNL 1 agosto 2013

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Lo staff di iPMI.it segnala la pubblicazione del Focus BNL n. 29 del 1 agosto 2013 (download .pdf), il settimanale del Servizio Studi BNL, che fa il punto sulla congiuntura economica in Italia.

Abstract:
«Tracciare confini tra un “nucleo” e una “periferia” tra i maggiori paesi dell’area euro è un esercizio difficile. Non bastano, al riguardo, i valori degli spread verso Bund dei titoli pubblici italiani e spagnoli che, pur rimanendo elevati, si sono dimezzati nell’arco degli ultimi dodici mesi. Né valgono i confronti sulla crescita economica, che scontano risultati assai differenti nel risanamento delle finanze pubbliche. Italia e Spagna, ad esempio, accusano oggi una simile misura della recessione, ma con valori del rapporto tra deficit pubblico e PIL che nel 2012 sono stati in Italia pari a meno di un terzo del dato spagnolo. Analoghi riscontri sono offerti dai numeri del credito alle società non finanziarie che, al di là dei vincoli di offerta, mostrano come oggi tutti e quattro i principali paesi dell’area euro soffrano un grave difetto di domanda. Il cavalllo non beve, al centro come in periferia.
Analizzando le esportazioni italiane, oltre al forte rallentamento, colpisce la crescente incertezza e la volatilità, frutto di uno scenario mondiale in rapido cambiamento. Si riducono le vendite negli Stati Uniti, in Svizzera e in Turchia, dopo la forte crescita del 2012; quelle in Cina recuperano parte del brusco calo dello scorso anno, mentre in India prosegue la rapida flessione. Oggi, il problema non è più solo capire come accompagnare le piccole e medie imprese italiane verso la conquista di mercati lontani e complessi, ma diviene centrale interpretare i cambiamenti del contesto esterno, cercando di anticiparli, per capire su quali settori, e in quali paesi, concentrare le attenzioni e le risorse, purtroppo limitate.

Editoriale: Periferia, deficit e credito
Le mele con le mele, le pere con le pere. È quanto ci insegnavano a scuola i maestri di statistica, per evitare di fare aggregazioni povere di significato e magari anche un po’ fuorvianti. Purtroppo, lo scenario attuale dell’economia globale è caratterizzato da un tratto dominante che è quello della varianza crescente. Varianza delle condizioni economiche, oltre che degli andamenti dei mercati finanziari. Varianza delle previsioni.
Varianza nelle geografie dei propulsori di sviluppo agibili per la crescita mondiale, che oggi lamentano il rallentamento e le variegate incertezze che si affermano anche nel complesso dei paesi “emergenti”. In questo contesto a varianza crescente diviene sempre più difficile compiere delle aggregazioni ed individuare delle solide regolarità in insiemi diversi di paesi. Accade nel confronto consolidato da decenni tra economie avanzate ed economie emergenti. Succede nel caso di definizioni molto più giovani quali quella, all’interno della comune casa europea, tra paesi “nucleo” (core, in inglese) e “periferia”.
L’individuazione di una periferia e di un nucleo all’interno dell’Area dell’euro è, verosimilmente, il portato del permanere di uno iato finanziario che è stato aperto con la crisi dei cosiddetti “rischi sovrani”. Distinguere tra Italia e Spagna da un lato e Francia e Germania dall’altro può avere senso se si guarda alle misure ancora elevate degli “spread” di rendimento rispetto a Bund ed OAT di BTP e Bonos. Nel contempo, però, occorrerebbe osservare che nell’anno ormai passato dall’intervento di Mario Draghi alla Lancaster House – quello in cui il Presidente della BCE ribadì l’irreversibilità dell’euro “whatever it takes” – lo spread tra BTP e Bund si è dimezzato, passando da 534 a 274 centesimi. E una riduzione notevole della divergenza rispetto al benchmark tedesco è stata realizzata anche dallo spread spagnolo che ora si attesta intorno a quota trecento sul Bund. Se Italia e Spagna possono definirsi “periferia” rispetto alla Germania, i conti dello spread ci dicono che oggi i due paesi lo sono certamente meno rispetto ad un anno fa.
Al di là degli spread, un fondamento per la distinzione tra “nucleo” e “periferia” può essere ricercato sul fronte della crescita economica. L’aggiornamento di luglio delle previsioni per il 2013 del Fondo monetario internazionale conferma una differenza tra la situazione tra Germania e Francia, e Italia e Spagna. In Italia e Spagna la recessione continua a mordere con cali inferiori al 2012, ma comunque compresi tra uno e due punti percentuali. In Germania e Francia lo scenario è migliore, ma le proiezioni non vanno oltre una sostanziale stagnazione. Anche per Germania e Francia le nuove previsioni del Fondo sono significativamente peggiori delle proiezioni precedenti. Può la distinzione tra una moderata recessione e una sostanziale stagnazione giustificare il solco segnato tra una “periferia” e un “nucleo” all’interno dei quattro maggiori paesi dell’eurozona? Forse. Ma quello che lo sforzo di aggregazione rischia di confondere pericolosamente è un’altra e ben più oggettiva geografia che pure incide sulle “performance” di crescita e sulle prospettive di stabilità. Parliamo dei risultati della finanza pubblica e, in particolare, dei consuntivi realizzati sul fronte della riduzione del rapporto tra deficit pubblico e PIL. Nel 2012 l’Italia è tornata a rispettare la soglia del tre per cento. La Spagna ha invece segnato un deficit pubblico di oltre dieci punti di PIL, un valore più che triplo rispetto al limite europeo.
Quale sarebbe oggi la proiezione di crescita 2013 dell’Italia se il “ratio” sul deficit pubblico italiano fosse stato nel 2012 anche solo la metà di quello spagnolo o avesse avuto la misura di quello francese? Quesiti ipotetici, ovviamente, che però possono aiutare a problematizzare un’aggregazione che definisce “periferica” un’economia come quella italiana che oggi è insieme a Germania e Finlandia nella ristretta cerchia dei membri dell’Area euro in regola con la procedura del deficit eccessivo: solo sei paesi su diciassette.
Le mele con le mele. Le pere con le pere. Oltre a spread e crescita, la sostenibilità di una periferia meridionale che si contrappone ad un nucleo dell’unione monetaria suscita qualche perplessità anche sul fronte dei numeri del credito. Anche qui i dati non segnano confini precisi ed il riscontro è simile a quello effettuato sul piano della crescita economica. Alla metà del 2013 i prestiti bancari alle società non finanziarie arretrano anno su anno di 4,5 punti percentuali in Italia e di ben 14,4 punti percentuali in Spagna. Se la periferia del credito arretra secondo misure assai diverse tra Italia e Spagna, il nucleo franco-tedesco certamente non avanza. A giugno 2013 la consistenza dei prestiti bancari alle società non finanziarie segna una crescita annua sostanzialmente nulla sia in Germania (+0,4%) sia in Francia (+0,1%). Il cavallo non beve, anche laddove la portata del fiume è rimasta generosa e i costi del credito sono più bassi. C’è un deficit europeo di domanda aggregata, nel nucleo come in periferia, che è a monte dei vincoli nell’offerta del credito sofferti nei paesi meridionali. È giusto allentare la stretta del credito, ma ancor prima occorrerebbe dare finalmente sostanza a un “Growth Compact”, a un piano europeo di rilancio della crescita che sarebbe oggi necessario a tutti i principali partner dell’eurozona.
Al di là delle dinamiche degli ultimi dodici mesi, il tema del credito alle imprese nei quattro principali paesi dell’area euro merita di essere indagato su orizzonti più ampi. Gli orizzonti del quinquennio che parte dalla prima recessione europea del 2008.
Misurata in miliardi di euro, oggi la consistenza dei prestiti bancari alle società non finanziarie è pressoché la stessa di cinque anni fa in Italia come in Germania. È più alta di una sessantina di miliardi in Francia. È più bassa di ben 280 miliardi di euro in Spagna. Duecentottanta miliardi di euro sono un importo notevolissimo, superiore al PIL di un anno di un paese come la Danimarca. Di fronte a tante differenze, anche sul fronte del credito appare difficile sostenere l’esistenza di una periferia italo-spagnola da contrapporre ad un nucleo franco-tedesco.
Piuttosto che esercitarsi in nuove quanto incerte macro-distinzioni tra paesi, un lavoro importante meriterebbe di essere condotto a livello micro per monitorare e sostenere la condizione delle piccole e medie imprese europee, specie sotto il profilo creditizio. Alle PMI europee fa riferimento il 67 per cento degli occupati del settore non-finanziario e il 58 per cento del valore aggiunto creato nell’Unione. Nonostante questa rilevanza economica, oggi non esiste in Europa una statistica sistematica sui crediti alle PMI e le analisi debbono forzatamente indirizzarsi all’aggregato ben più ampio del totale delle società non-finanziarie1. Mutuare a livello europeo l’esperienza virtuosa della Banca d’Italia che separatamente censisce quantomeno i prestiti alle imprese fino a 20 addetti potrebbe essere un primo passo
».

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