Lo staff di iPMI.it segnala la pubblicazione del Focus BNL n. 24 del 1 luglio 2013 (download .pdf), il settimanale del Servizio Studi BNL, che fa il punto sulla congiuntura economica in Italia.
Abstract:
«La pressione fiscale in Italia ha raggiunto il 44% del Pil; escludendo dal calcolo l’economia sommersa si sale a quasi il 60%. Il nostro sistema fiscale si caratterizza per la centralità della tassazione sul lavoro, a fronte di un basso peso delle tasse sui consumi e un livello adeguato di imposizione sulle proprietà immobiliari. Il regime delle agevolazioni fiscali rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato alla crescita. Un sostegno alla competitività del Paese potrebbe giungere da una “svalutazione fiscale”, realizzando uno spostamento della tassazione dal lavoro ai consumi. Per un sistema equo, che sostenga la crescita, è necessario un forte abbassamento dell’evasione: se l’economia sommersa si riducesse al livello medio dell’area euro, emergerebbero oltre 100 miliardi di base imponibile, con un gettito aggiuntivo stimabile in più di 45 miliardi, un importo pari al deficit delle Amministrazioni pubbliche nel 2012.
Per l’Italia: un nuovo sistema fiscale che guardi alla crescita
La pressione fiscale e contributiva in Italia ha raggiunto il 44% del Pil, un dato elevato nel confronto internazionale. Nel valutare il livello della pressione fiscale è, però, opportuno inserire nell’analisi il peso dell’economia sommersa, che in Italia è stimata al 21,6% del Pil, oltre 6 punti percentuali in più dell’area euro. Escludendo l’economia sommersa, la pressione fiscale si avvicina al 60%.
Nel nostro Paese l’elevato debito pubblico lascia poco spazio per politiche espansive. Diviene opportuna una rivisitazione dell’intero sistema impositivo, che guardi alla crescita dell’economia. Il confronto con le altre economie europee consente di individuare i caratteri fondamentali del nostro sistema fiscale: molte tasse sul lavoro, poche tasse sui consumi, un livello adeguato di imposizione sulle proprietà immobiliari, un regime delle agevolazioni fiscali che rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato alla crescita.
In Italia, l’aliquota fiscale implicita sul lavoro, calcolata come rapporto tra le entrate ottenute dalla tassazione sul lavoro e una stima della relativa base imponibile, è pari al 42,3%. Nell’area euro, solo il Belgio presenta un valore più elevato, mentre in Francia si scende al 38,6% e in Germania al 37,1%. Viceversa, l’aliquota fiscale implicita sui consumi è pari al 17,4% in Italia, contro il 19,9% della Francia e il 20,1% della Germania.
Il sistema italiano prevede, inoltre, l’applicazione di oltre 700 agevolazioni fiscali, destinate alle famiglie, alle imprese e ai consumi, anche attraverso l’applicazione delle aliquote IVA ridotte. Questo sistema determina una perdita di gettito superiore ai 250 miliardi di euro.
In un mondo nel quale le imprese italiane non possono più beneficiare delle svalutazioni del cambio, ma al contrario subiscono gli effetti negativi di quelle poste in essere da altri paesi, un sostegno alla competitività del sistema produttivo potrebbe giungere da una “svalutazione fiscale”: uno spostamento della tassazione dal lavoro ai consumi, realizzato mantenendo invariato il gettito complessivo, favorirebbe le esportazioni, sostenendo la crescita.
Un’ultima considerazione: una qualsiasi riorganizzazione del sistema fiscale avrà, però, un impatto limitato sulle capacità del Paese di generare ricchezza fino a quando non si realizzerà un forte abbassamento del grado di evasione. Se in Italia l’economia sommersa si riducesse al livello medio dell’area euro, emergerebbero oltre 100 miliardi di euro di base imponibile, con un gettito aggiuntivo stimabile in più di 45 miliardi, un importo pari al deficit complessivo delle Amministrazioni pubbliche italiane nel 2012.
Cresce la pressione fiscale effettiva sull’economia italiana
Il rientro del rapporto deficit/Pil al di sotto del limite del 3%, che ha consentito all’Italia di uscire dalla procedura per deficit eccessivo, è il risultato di una profonda azione sui conti, che ha interessato tutto il triennio 2010-12. Durante lo scorso anno, la correzione del bilancio pubblico, misurata dal saldo delle Amministrazioni al netto degli interessi, è risultata pari a 1,3 punti percentuali di Pil, un miglioramento prossimo ai 20 miliardi di euro. Gli interventi si sono concentrati sulle entrate, mentre gli effetti delle azioni sulle uscite hanno fino ad ora avuto un impatto marginale, determinando un brusco innalzamento della pressione fiscale e contributiva, che ha raggiunto il 44% del Pil, un valore mai toccato negli ultimi venti anni.
Nel valutare il livello della pressione fiscale è, però, opportuno inserire nell’analisi il peso dell’economia sommersa. La pressione fiscale e contributiva è, infatti, misurata come rapporto tra le entrate fiscali e contributive registrate da un paese in un anno e il suo Pil. Ma, mentre nelle statistiche sul Pil si tiene conto di una stima dell’economia sommersa, il valore delle entrate è riferito solo agli importi effettivamente incassati. Ne deriva che, nel caso di una diffusa evasione la pressione fiscale ufficiale risulti sottostimata.
Le stime sull’economia sommersa per l’area euro segnalano una profonda eterogeneità tra i diversi paesi. Si va da valori inferiori al 10% del Pil in Austria e in Lussemburgo ad oltre il 25% in Estonia. Nel confronto internazionale, l’Italia si caratterizza per un’ampia diffusione dell’economia sommersa, con un valore per il 2012 stimato in oltre il 20%: si tratta di una somma superiore ai 300 miliardi di euro. Andando a questo punto ad escludere dalla statistica sulla pressione fiscale e contributiva il valore relativo all’economia sommersa emerge una rappresentazione più veritiera del carico fiscale sui fattori produttivi di ciascun paese. La posizione dell’Italia risulta particolarmente complessa: escludendo l’economia sommersa dal valore del Pil, si passa dal 44% delle statistiche ufficiali ad una pressione fiscale e contributiva reale prossima al 60%. Tra i 17 paesi che compongono l’area euro, solo il Belgio si trova su un valore leggermente superiore a quello italiano. In Francia, nonostante il rapporto tra le entrate fiscali e contributive e il Pil risulti più alto di quello dell’Italia, la pressione fiscale reale è più bassa di 3 punti percentuali, grazie ad un peso dell’economia sommersa stimato intorno al 10%, la metà di quello italiano. Stesso discorso per la Germania, paese con un valore delle entrate fiscali e contributive sul Pil al netto dell’economia sommersa quasi 10 punti più basso di quello italiano.
Le previsioni della Commisione europea segnalano per i prossimi anni un ulteriore miglioramento dei saldi delle Amministrazioni Pubbliche in Italia. Per il nostro Paese, il principale problema nell’immediato non è, dunque, porre in essere ulteriori misure di correzione, quanto piuttosto individuare le politiche necessarie per il sostegno alla crescita. Di tali politiche ne trarrebbe giovamento lo stesso equilibrio dei conti.
L’elevato livello del debito pubblico lascia, però, poco spazio alla realizzazione di politiche espansive, che mirino ad un abbassamento della pressione fiscale complessiva. Non potendo ridurre le entrate, diviene opportuna una profonda rivisitazione dell’intero sistema impositivo, che guardi all’equilibrio dei conti fornendo nel contempo sostegno alla crescita. Utili spunti di riflessione possono essere tratti da un’analisi del sistema fiscale e contributivo a livello europeo».
Per l’Italia: un nuovo sistema fiscale che guardi alla crescita
La pressione fiscale e contributiva in Italia ha raggiunto il 44% del Pil, un dato elevato nel confronto internazionale. Nel valutare il livello della pressione fiscale è, però, opportuno inserire nell’analisi il peso dell’economia sommersa, che in Italia è stimata al 21,6% del Pil, oltre 6 punti percentuali in più dell’area euro. Escludendo l’economia sommersa, la pressione fiscale si avvicina al 60%.
Nel nostro Paese l’elevato debito pubblico lascia poco spazio per politiche espansive. Diviene opportuna una rivisitazione dell’intero sistema impositivo, che guardi alla crescita dell’economia. Il confronto con le altre economie europee consente di individuare i caratteri fondamentali del nostro sistema fiscale: molte tasse sul lavoro, poche tasse sui consumi, un livello adeguato di imposizione sulle proprietà immobiliari, un regime delle agevolazioni fiscali che rende il sistema complesso, poco efficace e poco orientato alla crescita.
In Italia, l’aliquota fiscale implicita sul lavoro, calcolata come rapporto tra le entrate ottenute dalla tassazione sul lavoro e una stima della relativa base imponibile, è pari al 42,3%. Nell’area euro, solo il Belgio presenta un valore più elevato, mentre in Francia si scende al 38,6% e in Germania al 37,1%. Viceversa, l’aliquota fiscale implicita sui consumi è pari al 17,4% in Italia, contro il 19,9% della Francia e il 20,1% della Germania.
Il sistema italiano prevede, inoltre, l’applicazione di oltre 700 agevolazioni fiscali, destinate alle famiglie, alle imprese e ai consumi, anche attraverso l’applicazione delle aliquote IVA ridotte. Questo sistema determina una perdita di gettito superiore ai 250 miliardi di euro.
In un mondo nel quale le imprese italiane non possono più beneficiare delle svalutazioni del cambio, ma al contrario subiscono gli effetti negativi di quelle poste in essere da altri paesi, un sostegno alla competitività del sistema produttivo potrebbe giungere da una “svalutazione fiscale”: uno spostamento della tassazione dal lavoro ai consumi, realizzato mantenendo invariato il gettito complessivo, favorirebbe le esportazioni, sostenendo la crescita.
Un’ultima considerazione: una qualsiasi riorganizzazione del sistema fiscale avrà, però, un impatto limitato sulle capacità del Paese di generare ricchezza fino a quando non si realizzerà un forte abbassamento del grado di evasione. Se in Italia l’economia sommersa si riducesse al livello medio dell’area euro, emergerebbero oltre 100 miliardi di euro di base imponibile, con un gettito aggiuntivo stimabile in più di 45 miliardi, un importo pari al deficit complessivo delle Amministrazioni pubbliche italiane nel 2012.
Cresce la pressione fiscale effettiva sull’economia italiana
Il rientro del rapporto deficit/Pil al di sotto del limite del 3%, che ha consentito all’Italia di uscire dalla procedura per deficit eccessivo, è il risultato di una profonda azione sui conti, che ha interessato tutto il triennio 2010-12. Durante lo scorso anno, la correzione del bilancio pubblico, misurata dal saldo delle Amministrazioni al netto degli interessi, è risultata pari a 1,3 punti percentuali di Pil, un miglioramento prossimo ai 20 miliardi di euro. Gli interventi si sono concentrati sulle entrate, mentre gli effetti delle azioni sulle uscite hanno fino ad ora avuto un impatto marginale, determinando un brusco innalzamento della pressione fiscale e contributiva, che ha raggiunto il 44% del Pil, un valore mai toccato negli ultimi venti anni.
Nel valutare il livello della pressione fiscale è, però, opportuno inserire nell’analisi il peso dell’economia sommersa. La pressione fiscale e contributiva è, infatti, misurata come rapporto tra le entrate fiscali e contributive registrate da un paese in un anno e il suo Pil. Ma, mentre nelle statistiche sul Pil si tiene conto di una stima dell’economia sommersa, il valore delle entrate è riferito solo agli importi effettivamente incassati. Ne deriva che, nel caso di una diffusa evasione la pressione fiscale ufficiale risulti sottostimata.
Le stime sull’economia sommersa per l’area euro segnalano una profonda eterogeneità tra i diversi paesi. Si va da valori inferiori al 10% del Pil in Austria e in Lussemburgo ad oltre il 25% in Estonia. Nel confronto internazionale, l’Italia si caratterizza per un’ampia diffusione dell’economia sommersa, con un valore per il 2012 stimato in oltre il 20%: si tratta di una somma superiore ai 300 miliardi di euro. Andando a questo punto ad escludere dalla statistica sulla pressione fiscale e contributiva il valore relativo all’economia sommersa emerge una rappresentazione più veritiera del carico fiscale sui fattori produttivi di ciascun paese. La posizione dell’Italia risulta particolarmente complessa: escludendo l’economia sommersa dal valore del Pil, si passa dal 44% delle statistiche ufficiali ad una pressione fiscale e contributiva reale prossima al 60%. Tra i 17 paesi che compongono l’area euro, solo il Belgio si trova su un valore leggermente superiore a quello italiano. In Francia, nonostante il rapporto tra le entrate fiscali e contributive e il Pil risulti più alto di quello dell’Italia, la pressione fiscale reale è più bassa di 3 punti percentuali, grazie ad un peso dell’economia sommersa stimato intorno al 10%, la metà di quello italiano. Stesso discorso per la Germania, paese con un valore delle entrate fiscali e contributive sul Pil al netto dell’economia sommersa quasi 10 punti più basso di quello italiano.
Le previsioni della Commisione europea segnalano per i prossimi anni un ulteriore miglioramento dei saldi delle Amministrazioni Pubbliche in Italia. Per il nostro Paese, il principale problema nell’immediato non è, dunque, porre in essere ulteriori misure di correzione, quanto piuttosto individuare le politiche necessarie per il sostegno alla crescita. Di tali politiche ne trarrebbe giovamento lo stesso equilibrio dei conti.
L’elevato livello del debito pubblico lascia, però, poco spazio alla realizzazione di politiche espansive, che mirino ad un abbassamento della pressione fiscale complessiva. Non potendo ridurre le entrate, diviene opportuna una profonda rivisitazione dell’intero sistema impositivo, che guardi all’equilibrio dei conti fornendo nel contempo sostegno alla crescita. Utili spunti di riflessione possono essere tratti da un’analisi del sistema fiscale e contributivo a livello europeo».