Lo staff di tusciafisco.it segnala la pubblicazione del Focus BNL n. 31 del 9 settembre 2013 (download .pdf), il settimanale del Servizio Studi BNL, che fa il punto sulla congiuntura economica in Italia.
Abstract:
«Competitività fa rima con fiscalità. Accade nell’arena globale, dove le scelte di localizzazione e di investimento delle imprese si mostrano vieppiù sensibili ai vantaggi fiscali e all’efficienza amministrativa che un paese e un territorio possono offrire. Accade in Cina come in Serbia. Il gap sofferto dall’Italia sul fronte delle tasse e della buona amministrazione va colmato, a cominciare dal cuneo fiscale sul lavoro che da noi supera di dodici punti percentuali la media OCSE.
I segnali di miglioramento della congiuntura economica nell’area dell’euro non si sono ancora riflessi sull’andamento dei principali aggregati creditizi. A luglio la variazione su base annua dei prestiti bancari è stata del -1,8%, trainata al ribasso dalla flessione di quelli alle imprese (-3,7%) e non supportata dal contributo di quelli alle famiglie (+0,1%). Qualche segnale di miglioramento proviene dalle attese relative alla domanda e all’offerta di credito nella Uem indicate nelle indagini condotte presso le imprese e le banche. Anche in Italia la debolezza del quadro congiunturale continua a pesare sull’evoluzione dei prestiti, soprattutto quelli delle imprese (-4,4% a/a a luglio). Per contrastare gli effetti avversi della congiuntura sulla concessione di credito al comparto produttivo un ruolo fondamentale è svolto dal Fondo centrale di garanzia la cui operatività dall’inizio della crisi è stata ampliata e rafforzata; nel primo semestre dell’anno il numero delle domande accolte ha segnato un aumento del 28% (a 34.587), il volume dei finanziamenti attivati del +38,4% e gli importi garantiti del +65%.
Editoriale: Fiscalità & competitività
No taxation without representation. La tassazione discende dalla politica. Così accade nelle democrazie moderne, dai tempi della rivoluzione americana. Ma oggi, nel complicato mondo della globalizzazione, vale anche il contrario. Non c’è politica senza tassazione. Ovvero, nessun paese può perseguire con successo obiettivi collettivi di sviluppo senza porsi il problema di un confronto competitivo tra il proprio sistema di tasse e quelli dei propri concorrenti, vicini e lontani.
Nel Mondo fiscalità fa rima con competitività. Ciò vale innanzitutto per le imprese. Non è un discorso nuovo. Sugli incentivi fiscali, oltre che sul basso costo del lavoro, puntarono le “zone economiche speciali” volute da Deng a partire dalla fine degli anni Settanta e su cui si è sviluppato il miracolo economico cinese. Su tasse più basse, su incentivi pubblici di vario genere e su una burocrazia veloce, oltre che su salari inferiori, oggi si impernia la concorrenza mossa all’Italia da paesi e territori ben più vicini della Cina. Pensiamo, ad esempio, alle numerose “zone franche” istituite in Serbia: un’interessante miscela che unisce consistenti vantaggi fiscali e doganali e bassi costi del lavoro a quelle “economie di agglomerazione” che erano tipiche dei nostri distretti industriali. Senza scordare, infine, la capacità di attrazione che tasse basse e buona amministrazione esercitano sugli investimenti diretti delle nostre imprese da paesi e territori dove i salari nominali non sono certo inferiori ai nostri. È il caso della regione austriaca della Carinzia o del cantone svizzero del Vallese.
Sempre più la competizione si fa sulle tasse. Questo accade anche perché la globalizzazione mondiale e l’unificazione europea hanno ridotto il novero delle altre variabili di confronto. In Europa la moneta unica ha rimosso il fattore, peraltro ambiguo, di competizione valutaria. Nel resto del Mondo i movimenti dei cambi rimangono comunque modesti rispetto alle misure ancora cospicue degli squilibri delle partite correnti. Nella direzione di una standardizzazione produttiva globale agiscono l’evoluzione tecnologica e, specialmente, la digitalizzazione. Una tendenza potente all’omologazione si è affermata dal lato dei consumi, con stili di vita e modelli di acquisto sempre più simili tra paesi e popoli. La globalizzazione della finanza, nel male e nel bene, ha eroso barriere e abbattuto differenze, contribuendo largamente ad accrescere la mobilità del capitale. Un capitale sempre più arbitro dei destini di crescita e di occupazione di paesi e territori e sempre più a caccia di convenienze fiscali.
La posizione dell’Italia non è facile in uno scenario dove la crescita dipende dall’attrazione internazionale degli investimenti e le scelte delle imprese, italiane e non, si legano largamente a vantaggi fiscali e all’operare di un’efficiente amministrazione pubblica. Divise le entrate per il PIL “percosso” - quello totale meno l’economia sommersa – la pressione fiscale italiana sale a valori che vanno oltre i 55 punti percentuali e che rappresentano uno tra i massimi, in Europa e nel Mondo. Oltre che esoso, il nostro è un fisco complesso, che chiede ad esempio alle imprese italiane un numero annuo di pagamenti doppio rispetto a quelli delle imprese francesi. È un fisco incerto, che agisce in un sistema dove occorrono in media 1.210 giorni per ottenere una sentenza definitiva presso un tribunale contro i 394 giorni necessari in Germania. Ed è un fisco inefficace, visto che in Italia l’economia sommersa raggiunge dimensioni che stime recenti collocano intorno ai 330 miliardi di euro, il valore del PIL austriaco.
L’eccesso di tassazione colpisce in Italia le imprese come i lavoratori, con un cuneo fiscale e contributivo che da noi supera di ben dodici punti la media OCSE. Dalla riduzione della fiscalità a carico del capitale produttivo e del capitale umano e da un corale sforzo di modernizzazione amministrativa occorre partire per abbattere lo svantaggio competitivo che soffriamo nei confronti dell’estero. Solo così potremo rendere la “destinazione Italia” una meta attraente per gli investimenti delle imprese degli stranieri e degli italiani e realizzare un fondamentale presupposto per la ripresa, non solo economica, del nostro paese».
I segnali di miglioramento della congiuntura economica nell’area dell’euro non si sono ancora riflessi sull’andamento dei principali aggregati creditizi. A luglio la variazione su base annua dei prestiti bancari è stata del -1,8%, trainata al ribasso dalla flessione di quelli alle imprese (-3,7%) e non supportata dal contributo di quelli alle famiglie (+0,1%). Qualche segnale di miglioramento proviene dalle attese relative alla domanda e all’offerta di credito nella Uem indicate nelle indagini condotte presso le imprese e le banche. Anche in Italia la debolezza del quadro congiunturale continua a pesare sull’evoluzione dei prestiti, soprattutto quelli delle imprese (-4,4% a/a a luglio). Per contrastare gli effetti avversi della congiuntura sulla concessione di credito al comparto produttivo un ruolo fondamentale è svolto dal Fondo centrale di garanzia la cui operatività dall’inizio della crisi è stata ampliata e rafforzata; nel primo semestre dell’anno il numero delle domande accolte ha segnato un aumento del 28% (a 34.587), il volume dei finanziamenti attivati del +38,4% e gli importi garantiti del +65%.
Editoriale: Fiscalità & competitività
No taxation without representation. La tassazione discende dalla politica. Così accade nelle democrazie moderne, dai tempi della rivoluzione americana. Ma oggi, nel complicato mondo della globalizzazione, vale anche il contrario. Non c’è politica senza tassazione. Ovvero, nessun paese può perseguire con successo obiettivi collettivi di sviluppo senza porsi il problema di un confronto competitivo tra il proprio sistema di tasse e quelli dei propri concorrenti, vicini e lontani.
Nel Mondo fiscalità fa rima con competitività. Ciò vale innanzitutto per le imprese. Non è un discorso nuovo. Sugli incentivi fiscali, oltre che sul basso costo del lavoro, puntarono le “zone economiche speciali” volute da Deng a partire dalla fine degli anni Settanta e su cui si è sviluppato il miracolo economico cinese. Su tasse più basse, su incentivi pubblici di vario genere e su una burocrazia veloce, oltre che su salari inferiori, oggi si impernia la concorrenza mossa all’Italia da paesi e territori ben più vicini della Cina. Pensiamo, ad esempio, alle numerose “zone franche” istituite in Serbia: un’interessante miscela che unisce consistenti vantaggi fiscali e doganali e bassi costi del lavoro a quelle “economie di agglomerazione” che erano tipiche dei nostri distretti industriali. Senza scordare, infine, la capacità di attrazione che tasse basse e buona amministrazione esercitano sugli investimenti diretti delle nostre imprese da paesi e territori dove i salari nominali non sono certo inferiori ai nostri. È il caso della regione austriaca della Carinzia o del cantone svizzero del Vallese.
Sempre più la competizione si fa sulle tasse. Questo accade anche perché la globalizzazione mondiale e l’unificazione europea hanno ridotto il novero delle altre variabili di confronto. In Europa la moneta unica ha rimosso il fattore, peraltro ambiguo, di competizione valutaria. Nel resto del Mondo i movimenti dei cambi rimangono comunque modesti rispetto alle misure ancora cospicue degli squilibri delle partite correnti. Nella direzione di una standardizzazione produttiva globale agiscono l’evoluzione tecnologica e, specialmente, la digitalizzazione. Una tendenza potente all’omologazione si è affermata dal lato dei consumi, con stili di vita e modelli di acquisto sempre più simili tra paesi e popoli. La globalizzazione della finanza, nel male e nel bene, ha eroso barriere e abbattuto differenze, contribuendo largamente ad accrescere la mobilità del capitale. Un capitale sempre più arbitro dei destini di crescita e di occupazione di paesi e territori e sempre più a caccia di convenienze fiscali.
La posizione dell’Italia non è facile in uno scenario dove la crescita dipende dall’attrazione internazionale degli investimenti e le scelte delle imprese, italiane e non, si legano largamente a vantaggi fiscali e all’operare di un’efficiente amministrazione pubblica. Divise le entrate per il PIL “percosso” - quello totale meno l’economia sommersa – la pressione fiscale italiana sale a valori che vanno oltre i 55 punti percentuali e che rappresentano uno tra i massimi, in Europa e nel Mondo. Oltre che esoso, il nostro è un fisco complesso, che chiede ad esempio alle imprese italiane un numero annuo di pagamenti doppio rispetto a quelli delle imprese francesi. È un fisco incerto, che agisce in un sistema dove occorrono in media 1.210 giorni per ottenere una sentenza definitiva presso un tribunale contro i 394 giorni necessari in Germania. Ed è un fisco inefficace, visto che in Italia l’economia sommersa raggiunge dimensioni che stime recenti collocano intorno ai 330 miliardi di euro, il valore del PIL austriaco.
L’eccesso di tassazione colpisce in Italia le imprese come i lavoratori, con un cuneo fiscale e contributivo che da noi supera di ben dodici punti la media OCSE. Dalla riduzione della fiscalità a carico del capitale produttivo e del capitale umano e da un corale sforzo di modernizzazione amministrativa occorre partire per abbattere lo svantaggio competitivo che soffriamo nei confronti dell’estero. Solo così potremo rendere la “destinazione Italia” una meta attraente per gli investimenti delle imprese degli stranieri e degli italiani e realizzare un fondamentale presupposto per la ripresa, non solo economica, del nostro paese».