Quantcast
Channel: Area economica
Viewing all articles
Browse latest Browse all 847

Report settimanale BNL 12 luglio 2013

$
0
0
Lo staff di iPMI.it segnala la pubblicazione del Focus BNL n. 26 del 12 luglio 2013 (download .pdf), il settimanale del Servizio Studi BNL, che fa il punto sulla congiuntura economica in Italia.

Abstract:
«Il rallentamento delle economie emergenti e le nuove incertezze sui futuri scenari accrescono l’importanza di una adeguata diversificazione dei mercati di sbocco dei piccoli esportatori italiani. Nel 2012 ben il 47% degli operatori all’export con vendite all’estero fino a 2,5 milioni di euro disponeva di un solo mercato di sbocco.
L’ottanta per cento dei piccoli esportatori non andava oltre i cinque mercati. La digitalizzazione e le vendite su piattaforme di commercio elettronico possono aiutare a ridurre questo difetto di diversificazione. Un contributo importante è atteso dal sostegno e dalla consulenza di partner bancari internazionali.
Dopo la recessione nel 2008-09 la Svezia è riuscita ad alimentare una ripresa solida e continua, risultando così tra i 13 paesi della Ue27 in condizione di evitare una nuova fase di stagnazione/recessione. La previsione di crescita economica è favorevole tanto per l’anno in corso quanto per il prossimo. La redditività delle banche svedesi si conferma largamente superiore a quella prevalente tra le grandi banche europee, grazie in particolare ad un costo del rischio molto contenuto. Si rilevano, tuttavia, alcuni seri squilibri, tra i quali una elevata dipendenza dal mercato interbancario internazionale. La Banca Centrale ha imposto il conseguimento di più elevati rapporti di liquidità e un requisito patrimoniale particolarmente esigente.

Editoriale: Piccolo è export
In inglese la parola “subdued” significa sottotono, smorzato, debole. “Subdued” è il termine usato recentemente dal Fondo monetario internazionale per definire lo stato attuale della crescita mondiale. I numeri confermano il lessico. La crescita globale attesa per il 2013 scende intorno ai tre punti percentuali. Il livello del tre per cento – che a noi italiani rammenta la fatidica soglia della virtù fiscale europea – rappresenta per la crescita economica mondiale una media di lungo periodo al di sotto della quale è bene non andare. Alla base del rallentamento globale ci sono vari elementi. I nostri problemi di recessione in Europa. Le ricadute del contenimento del deficit pubblico e i rischi di rientro dell’espansione monetaria negli USA. La decelerazione della crescita e l’aumento delle incertezze in non pochi segmenti trainanti del mondo economico emergente, a cominciare dalla Cina.
Al di là del PIL, ciò che colpisce scorrendo le proiezioni del Fondo monetario sono i numeri previsti per il commercio internazionale. Quest’anno l’aumento delle esportazioni non andrà oltre i due punti percentuali nei paesi avanzati e i quattro punti percentuali nelle economie emergenti. Un po’ poco per un Mondo dove tanti paesi, grandi e piccoli, avanzati e emergenti, continuano a vedere nell’export netto il motore principale del proprio modello di sviluppo. Nel bene e nel male la globalizzazione ci ha reso tutti interdipendenti. Con buona pace delle impostazioni post-mercantiliste di alcuni, la maturazione della globalizzazione reitera l’istanza di un bilanciamento planetario degli squilibri sull’estero e di un rilancio della domanda interna nei paesi che hanno risorse per farlo. A meno, come scriveva tempo fa Martin Wolff, di andare a trovare su Marte i compratori delle esportazioni nette dei paesi della Terra. Non è un caso che la nota del Fondo monetario si chiuda con l’invito a aumentare i consumi privati in Cina e gli investimenti delle imprese in Germania.
Gli scenari della globalizzazione si complicano. Esportare diventa più difficile. Lo dicono i numeri. Quelli dell’export cinese, che a giugno si contrae di tre punti percentuali su base annua. Quelli dell’Italia, che nei primi cinque mesi del 2013 vede la crescita delle vendite ai paesi extra-UE più che dimezzarsi rispetto al dato annuale del 2012, dal nove al quattro per cento. Per la nostra economia la decelerazione dei commerci con l’estero è più grave che per altri. La Cina e la Germania hanno spazi per spostare risorse a beneficio della domanda interna. Per noi è assai più difficile, stanti gli impegni che abbiamo sottoscritto sul piano del controllo dei conti pubblici. Da rispettare non è solo la soglia del tre per cento nel rapporto tra deficit pubblico e PIL. C’è anche, come rammenta la recente lettera del Commissario Olli Rehn, la “debt rule” del Fiscal Compact che chiede l’azzeramento al ritmo di un ventesimo l’anno per i prossimi venti anni della differenza tra il valore attuale del rapporto tra debito pubblico e PIL e la soglia del 60 per cento. Per memoria, nel 2012 il rapporto in questione si è attestato in Italia al 127 per cento.
In questa impegnativa cornice macroeconomica di riferimento si inseriscono i risultati microeconomici dell’indagine annuale sviluppata dall’Istat sull’andamento degli operatori commerciali all’esportazione nel 2012. Nonostante tante difficoltà, il tessuto degli esportatori italiani rimane consistente e vitale. Su di esso occorre puntare. Non solo sulle imprese medie e grandi, ma anche sull’ampio bacino di piccoli operatori all’export di cui l’Italia dispone.
L’indagine Istat articola il mondo degli operatori all’export in otto classi di valore delle esportazioni. Prendendo come discrimine la soglia dei due milioni e mezzo di fatturato esportato annuo è possibile aggregare le prime quattro classi per individuare la porzione di quelli che potremmo definire i piccoli esportatori italiani. Parliamo di una popolazione di oltre centonovantamila realtà che sono titolari di quasi quaranta miliardi di euro di esportazioni annue.
I piccoli esportatori sono il novantadue per cento degli esportatori italiani e contribuiscono al dieci per cento dell’export nazionale. Nel 2012 il valore delle vendite oltre frontiera effettuate dagli operatori con esportazioni fino a 2,5 milioni di euro è ritornato ai livelli del 2008. Meglio dei piccoli hanno fatto i medio-grandi operatori, le cui esportazioni sono risultate nel 2012 superiori del cinque per cento a quelle del 2008. Nondimeno, tra il 2008 e il 2012 il numero dei piccoli esportatori è aumentato di ben duemilacinquecento unità mentre la consistenza degli operatori all’export di medio-grandi dimensioni si è ridotta di 230 imprese.
Nell’età matura della globalizzazione la dimensione aziendale continua a contare. Lo indica la maggiore crescita dell’export degli operatori di medio-grande dimensione. Il fatto di essere piccoli non rappresenta, però, un vincolo ad andare lontano.
L’elaborazione dei dati Istat indica infatti come il 44 per cento delle vendite dei piccoli esportatori è indirizzato al di fuori dell’Unione europea, appena un punto percentuale in meno della quota extra-UE sulle esportazioni degli operatori medio-grandi. Allo stesso modo, le presenze nello scacchiere strategico dell’Asia orientale – quindi, in Cina – sono il sette per cento del totale dei piccoli operatori all’export contro l’otto per cento degli esportatori più grandi.
Più che la presenza in mercati lontani dall’alveo europeo, ciò che penalizza la condizione dei piccoli esportatori rispetto agli operatori più grandi è un forte limite nel diversificare adeguatamente i mercati di sbocco. È questo il divario più pericoloso a svantaggio dei piccoli che va ridotto. Nel 2012 il 47 per cento dei piccoli esportatori ha indirizzato le proprie vendite a un solo mercato di sbocco. Poco meno del sessanta per cento non va oltre i due mercati. L’ottanta per cento dei piccoli esportatori rimane tra uno e cinque sbocchi. Per contro, ben il 46 per cento degli operatori all’export di media e grande dimensione si rivolge a oltre 25 mercati contemporaneamente. I due terzi degli esportatori con fatturati esteri superiori ai due milioni e mezzo di euro l’anno dispone di almeno sedici mercati di sbocco.
L’età matura della globalizzazione ci fa scoprire le forti varianze intorno ai trend di sviluppo dei mercati emergenti. Accade in Cina come in Brasile, in India come in Russia e in Turchia. Le oscillazioni delle domande aggregate si incrociano con dinamiche settoriali che rendono oltremodo variabili gli effetti sulle nostre esportazioni.
Accade così, ad esempio, che l’export italiano in Cina cresca del cinque per cento nei primi cinque mesi del 2013 dopo essere calato del dieci per cento nel 2012. O che le vendite italiane in Turchia si contraggano del due per cento tra gennaio e maggio del 2013 dopo essere cresciute di dieci punti lo scorso anno.
Mettere le proprie uova in più panieri. Un buon grado di diversificazione è necessario agli investimenti del risparmiatore come alle esportazioni dell’impresa. Nel caso dell’export lo è ancor più nello scenario odierno di crescente varianza tra le condizioni dei mercati e delle economie, anche di quelle emergenti. Migliorare la diversificazione dei mercati di sbocco rappresenta una priorità per gli operatori all’export di piccola dimensione. È una sfida importante, se non vogliamo perdere un fondamentale incubatore per la ripresa della nostra economia. È una sfida in capo non solo alle imprese interessate, ma che va raccolta a più livelli.
Un aiuto importante può venire dalla digitalizzazione e dalla rete, che oggi abbassa la dimensione media di cui l’impresa ha bisogno per competere internazionalmente. Non è raro, per chi ha occasione di confrontarsi con esperienze sul campo, raccogliere la testimonianza di piccoli imprenditori che oggi vendono in più mercati emergenti attraverso piattaforme di e-commerce. La diversificazione internazionale degli sbocchi può essere l’oggetto di contratti di rete, ai sensi della nuova normativa introdotta nel 2010. Può avvenire per il tramite di veicoli industriali e commerciali, italiani o stranieri, che siano in grado di valorizzare su più mercati esteri le eccellenze dei nostri piccoli operatori. Parliamo, per fare un paio di esempi, di esperienze innovative e virtuose come quella di Eataly, nata nel 2004, e degli investimenti e delle acquisizioni che multinazionali del lusso come LVMH hanno continuato a fare in Italia durante gli anni della crisi. La diversificazione dei mercati esteri dei piccoli esportatori, infine, rivolge una sfida al sistema finanziario e creditizio. Un salto di qualità nell’assistenza e nella consulenza per l’interscambio e l’internazionalizzazione è chiesto alle banche. Per dimostrare che piccolo è export. E che anche il credito può innovarsi
».

Viewing all articles
Browse latest Browse all 847

Trending Articles