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Report settimanale BNL 5 aprile 2013

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Lo staff di iPMI.it segnala la pubblicazione del Focus BNL n. 12 del 5 aprile 2013 (download .pdf), il settimanale del Servizio Studi BNL, che fa il punto sulla congiuntura economica in Italia.

Abstract:
«La difficile condizione del mercato del lavoro è uno dei temi che accomuna quasi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nel 2007 gli stati mediterranei membri della Ue vantavano in media un tasso di disoccupazione del 6,9%, contro il 10,9% dei non Ue. I cinque anni di crisi hanno capovolto le sorti dei due gruppi di paesi, e a fine 2012 il tasso di disoccupazione medio nei mediterranei Ue era del 14,5%, contro l’11,9% dei non Ue.
I paesi della sponda Sud si caratterizzano per un tasso di inattività molto elevato (50%) e in alcuni casi per una prevalenza tra i disoccupati di giovani con un livello di istruzione elevato. Da questa area nel quinquennio 2005-2010 sono emigrate 1,1 milioni di persone. L’imponenza delle migrazioni si riflette in un ruolo di rilievo giocato dalle rimesse: per l’intera area il valore del flusso in entrata si aggira intorno al 2,4% del Pil. Accanto alle rimesse, nell’economia di molti di questi paesi svolgono un ruolo importante gli investimenti diretti esteri, nel 2011 il flusso in entrata per il complesso dei paesi del Mediterraneo è stato pari a 143,4 miliardi di dollari, pari al 9,4% del totale mondo. Verso i soli paesi della sponda Sud si è però diretto solo il 2,5% degli IDE mondiali in entrata.

Il Mediterraneo dimenticato
Gli eventi degli ultimi anni hanno rallentato il Processo di Barcellona che, rilanciato nel 2008 con il nome di “Unione per il Mediterraneo”, auspicava la creazione di un’area comune di pace, stabilità e prosperità tra i paesi del Mediterraneo. Il ruolo della regione nell’equilibrio mondiale andrebbe invece rilanciato con forza.
Il peso dei paesi del Mediterraneo sulla popolazione mondiale (6,4%) è inferiore a quello economico (11,3% del Pil nel 2012, pari a 8.048 mld di dollari). Il relativo isolamento di molti paesi della sponda Sud del Mediterraneo dalla finanza internazionale li ha in parte salvaguardati dalla crisi scoppiata nel 2007 e per molti di essi il triennio 2007-2009 ha rappresentato un periodo di crescita sostenuta: è il caso, dell’Egitto (+6,3%), della Giordania (7%), del Libano (8,4%), del Marocco (4,4%) e della Tunisia (4,6%). In molti di questi paesi la crescita è continuata anche nel biennio 2010-2011.
La difficile condizione del mercato del lavoro è uno dei temi che accomuna quasi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nel 2007 gli stati mediterranei membri della Ue vantavano in media un tasso di disoccupazione del 6,9%, contro il 10,9% dei non Ue. I cinque anni di crisi hanno capovolto le sorti dei due gruppi di paesi, e a fine 2012 il tasso di disoccupazione medio nei mediterranei Ue era del 14,5%, contro l’11,9% dei non Ue. I paesi della sponda Sud si caratterizzano in particolare per un tasso di inattività molto elevato, che si aggira intorno al 50%.
I paesi della sponda Sud sono tradizionalmente territori di emigrazione. Secondo la Banca Mondiale nel quinquennio 2005-2010 dall’area sono emigrate 1,1 milioni di persone, portando a 10 milioni il numero di individui nati in uno di questi paesi e residenti in paesi terzi. La maggior parte dei migranti presenta un livello di istruzione medio superiore a quello della forza lavoro rimasta in patria.
L’imponenza delle migrazioni dal sud del Mediterraneo si riflette in un ruolo di rilievo giocato dalle rimesse: per l’intera area il valore del flusso in entrata si aggira intorno al 2,4% del Pil. Accanto alle rimesse, nell’economia di molti di questi paesi svolgono un ruolo importante gli investimenti diretti esteri (IDE).
Secondo l’Unctad nel 2011 il flusso di investimenti in entrata per il complesso dei paesi del Mediterraneo è stato pari a 143,4 miliardi di dollari, pari al 9,4% del totale mondo. Verso i soli paesi della sponda Sud si è però diretto solo il 2,5% degli IDE mondiali in entrata. Il dato del 2011 è stato sostenuto soprattutto dai flussi diretti in Turchia.
L’insieme dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo sta vivendo in questi anni eventi destinati a modificarne in modo sostanziale la vita economica, sociale e politica. A due anni dall’avvio della “Primavera araba” i paesi della sponda Sud sono ancora lontani dall’aver raggiunto un equilibrio stabile, mentre molti di quelli della sponda Nord sono oggi tra i più coinvolti nella crisi dell’area euro. L’attenzione rivolta ai problemi del progetto europeo ha sottratto energie politiche e risorse economiche al tentativo di creare una maggiore integrazione con i paesi della sponda Sud, ponendo quindi in secondo piano un processo di omogeneizzazione dell’area mediterranea sul quale pure si era puntato molto negli anni passati. La Primavera araba ha lasciato dietro di sé una regione estremamente frammentata, con processi di democratizzazione e di sviluppo sociale ed economico che si trovano in stadi molto diversi. La crisi in Europa, e in alcuni casi la limitatezza delle risorse, ha portato così a preferire lo sviluppo di accordi bilaterali tra paesi e settori a spese di una più organica visione euromediterranea il cui momentaneo abbandono va quindi considerato tra i costi della crisi in corso.
Gli eventi storici degli ultimi anni hanno inoltre rallentato il Processo di Barcellona che, rilanciato nel 2008 con il nome di “Unione per il Mediterraneo”,1 auspicava la creazione di un’area comune di pace, stabilità e prosperità da raggiungere attraverso una maggiore apertura commerciale per i prodotti agricoli, la liberalizzazione del commercio dei servizi e degli investimenti, la definizione di aree di libero scambio e di accordi di mutuo riconoscimento di produzioni industriali. A prescindere dal momento storico, è indubbio che oggi come in passato l’area del Mediterraneo andrebbe valorizzata, per il ruolo fondamentale che svolge nel tessere insieme culture e religioni diverse e, anche, perché coinvolge enormi risorse in termini di popolazione e fonti energetiche; non ultimo, per le opportunità che molti dei paesi della sponda Sud presentano in termini di sviluppo di un sistema infrastrutturale in molti casi ancora carente».

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