"Stima del numero di imprese del commercio e dei servizi che potrebbero non riaprire"; il titolo del comunicato stampa dell'Ufficio Studi Confcommercio del 10 maggio 2020 è emblematico nella sua prosaicità.
I ricercatori di Confcommercio hanno infatti proposto una previsione che - seppur ricca di dichiarate approssimazioni - ha il merito di aprire una riflessione "numeri alla mano" su quello che potrebbe essere il tasso di mortalità delle imprese nel settore del commercio e in quello dei servizi.
Le prospettive, in sintesi, sono le seguenti: "quasi 267mila imprese dei settori considerati potrebbero smettere di operare definitivamente (almeno per tutto il 2020 e nella forma giuridica, secondo la proprietà e la location attuale).
Un terzo apparterrebbero al commercio, due terzi ai servizi. I settori più colpiti sarebbero gli ambulanti (soprattutto di beni non alimentari), i negozi di vestiario e di calzature, i bar, i ristoranti e le imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona.
Le perdite in assoluto più consistenti si osserverebbero tra le professioni e nell’ambito della ristorazione.".
Particolarmente colpite le micro-imprese, per la quali la sola riduzione del 10% dei ricavi determinerebbe un importante squilibrio economico, data la già bassa marginalità media.
Per questo "esercizio puramente deterministico", l'Ufficio Studi Confcommercio ha considerato che nel settore del commercio al dettaglio in esercizi specializzati, l’incidenza dei costi fissi sul totale dei costi di esercizio sfiora il 54% e ciò significa che "in presenza di una riduzione del volume di affari di circa il 50% a causa delle norme restrittive sul distanziamento sociale, un’impresa con dipendenti del settore realizzerebbe un risultato lordo di gestione, cioè un profitto lordo, pari al costo del lavoro per dipendente di quel comparto. In altri termini, l’imprenditore vedrebbe azzerato il suo profitto economico e si troverebbe nella soglia di indifferenza tra il proseguire l’attività e il cessarla. Quindi se la riduzione dei suoi ricavi fosse superiore al 50%, certamente sarebbe costretto a cessare l’attività, con conseguente perdite di occupazione.".
Al fine di produrre una congettura credibile, sono stati utilizzati dei parametri legati all'emergenza sanitaria, quali:
- il periodo di sospensione dell’attività;
- il presumibile calo di domanda sull’orizzonte 2020;
- la presenza di ditte individuali rispetto al totale del settore. Le ditte individuali, infatti, si possono considerare più vulnerabili rispetto e prive della necessaria capitalizzazione per una sopravvivenza a medio termine senza attività corrente;
- il tasso di mortalità normale del settore di appartenenza dell’impresa, considerato pari a quello del 2019.
Nel comunicato stampa (scaricabile da qui) si può trovare uno schema riportante i dati quantitativi per la valutazione delle potenziali chiusure definitive delle imprese del commercio fisso al dettaglio non alimentare, dell'ingrosso e dei servizi.