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Sempre più basso il grado di internazionalizzazione produttiva del sistema economico italiano

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Secondo la definizione del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) un Investimento Diretto Estero (IDE) è un investimento in un’impresa estera di cui l’investitore possiede almeno il 10% delle azioni ordinarie, con l’obiettivo di stabilire un interesse durature nel paese, una relazione a lungo termine e una significativa influenza nella gestione dell’impresa (mergere and acquisition - M&A) oppure un investimento volto alla costituzione di una filiale all’estero (greenfield).
Gli IDE rappresentano il principale strumento per l’internazionalizzazione produttiva - fenomeno centrale della globalizzazione dell’economica - e insieme agli scambi commerciali globali indicano il livello di “salute” del sistema economico internazionale.
Salute fortemente compromessa dalle crisi finanziaria e del debito sovrano e, infine, dall’incertezza politica amplificata dalle crescenti tendenze protezionistiche, così come segnalato da un recente rapporto della Banca mondiale.
Da una parte, infatti, il commercio internazionale cresce meno del PIL mondiale ormai da cinque anni e, dall’altra parte, gli Investimenti Diretti Esteri, dopo il crollo registrato nel 2008 e nel 2009 (-21% circa in entrambe gli anni), faticano a riprendere quota.
Gli ultimi rilevamenti dell’OCSE relativi agli IDE del primo semestre 2016 mostrano una flessione del 5% rispetto allo stesso periodo del 2015, anno che aveva fatto registrare un dato positivo (seppur dettato in parte da operazioni straordinarie) e alimentato speranze (false, col senno di poi) di ripresa.

Sul tema degli Investimenti Diretti Esteri, la posizione dell’Italia appare problematica.
Il grado di internazionalizzazione produttiva è infatti piuttosto contenuto se rapportato con quello dei principali competitors continentali.
Basti confrontare il rapporto tra lo stock di Investimenti Diretti Esteri - sia in entrata che in uscita - e il Prodotto Interno Lordo. Nel primo caso - IDE in entrata su PIL - il dato italiano del 2015 (ultimo anno completo disponibile) è 18,5% mentre quello della media dei paesi UE28 è 47,9% (Germania 33,4% e Francia 31,9%); nel secondo caso - IDE in uscita su PIL - la situazione è ancora peggiore, con un rapporto nostrano del 25,7% contro il 57,6% della UE28 (Germania 54% e Francia 54,3%).
L’analisi comparativa dell’Italia risulta impietosa anche rispetto al suo stesso passato: tra il periodo 2009-2015 e il periodo 2005-2008 la quota degli IDE in uscita sul totale mondiale è scesa di circa due punti percentuali e, nello stesso periodo, la quota di IDE in entrata è passata dal’1,8 all’1,3%. Nel 2012, in particolare, gli investimenti dall’estero verso l’economia nazionale si sono quasi azzerati (92,5 milioni di dollari contro i 34 miliardi del 2011).
Infine, uno sguardo al futuro con i progetti di investimento stranieri in Italia.
Tra il 2011 e il 2015 sono stati elaborati per il nostro paese soltanto 702 progetti, mentre in Germania ne sono stati avviati 4.234 ed in Francia 2.252.

 
Se consideriamo gli Investimenti Diretti Esteri un buon indicatore per prevedere la capacità italiana di saper interpretare la globalizzazione è chiaro che il mercato internazionale non guarda più all’Italia come ad un buon partner commerciale.
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 03/05/2017

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